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Qui potremmo fermarci, gettare carta, penna o tastiere e restare in adorazione per ore, sapendo che tutte le volte sarebbe la stessa coinvolgente emozione. Esiste un’altra auto da corsa che a oltre 25 anni di distanza dalla sua costruzione sia in grado di suscitare ancora simili reazioni?

Era il 1991 e l’Alfa, che si stava apprestando a lanciare sul mercato un nuovo modello, aveva la necessità di trovare un degno traino dal mondo delle corse. Per cancellare le sconfitte subìte schierando l’ormai anzianotta 75 Turbo nel Campionato Italiano Superturismo, Giorgio Pianta lanciò all’Ingegner Limone una sfida intrigante: trasferire in pista anni di esperienza maturata sotto l’egida Lancia nel mondo dei rally e riportare la Casa di Arese al successo. Nacque così la 155 GTA Superturismo, un mostro capace di dominare la stagione successiva, assicurandosi le prime 4 posizioni della classifica finale e conquistando 17 vittorie su 20 gare. Fu un dominio che però ebbe vita breve perchè per il 1993 erano già stati deliberati altri piani: il nuovo regolamento tecnico che vietava il Turbo nella categoria D2, spinse la dirigenza a varare la “campagna teutonica” accettando la sfida della Mercedes nel DTM, concepito sulla ben più permissiva normativa FIA D1.

Alfa Romeo si presentò al via del campionato in veste ufficiale, portando due vetture sotto la gestione di Alfa Corse, affidate a Nicola Larini e Alessandro Nannini, e due sotto quella di Schubel, per Christian Danner e Giorgio Francia.

Se le linee rispecchiavano quelle di una 155 stradale vitaminizzata, altrettanto non si poteva dire tutto il resto: il telaio era costituito da un complesso traliccio di tubi in acciaio ai quali erano accoppiati i pannelli della carrozzeria in fibra di carbonio, mentre, al di sotto del centro ruota, nonostante il fondo piatto, era stato effettuato un importantissimo studio aerodinamico per sfruttare al massimo la permissività del regolamento sia in termini di efficienza che di raffreddamento. La vettura era così in grado di generare una rilevante spinta verso il basso e, grazie all’abbinamento della trazione integrale al V6 2,5 da 420CV, divenne subito imbattibile.

Il debutto avvenne sotto il diluvio di Zolder con la clamorosa doppietta di Larini e Danner che occuparono nell’ordine il podio in entrambe le gare, ai quali di aggiunse il terzo posto di Nannini in gara 2. Da lì in poi fu una cavalcata vincente con 12 successi complessivi su 20 prove disputate: Larini vinse il titolo tagliando il traguardo per primo in 10 occasioni ed ebbe la soddisfazione di annientare gli avversari anche sulla mitica Nordschleife del Nurburgring, mentre, dopo una stagione difficile, Nannini fece bottino pieno solo al gran finale di Hockenheim. Alfa Corse trionfò anche nel campionato costruttori sgretolando le convinzioni di Mercedes che, fin dal principio, aveva caldeggiato l’ingresso di nuovi costruttori convinta della propria supremazia tecnologica.

Nel 1994 si assistette al livellamento dei valori in campo con un cospicuo dispiegamento di forze operato dalla casa di Stoccarda, intenzionata a vendicare lo smacco subìto lanciando nella mischia la nuova C-Class V6, ed al ritorno della Opel in veste ufficiale per mezzo della Calibra V6. L’Alfa portò a 8 il numero totale di vetture schierate in modo continuativo tra ufficiali, ufficiosi e privati, contando sempre sulla coppia d’assi della Squadra Corse a cui si aggiunse una terza vettura per Stefano Buttiero. Larini dovette faticare non poco per schivare il “fuoco nemico” collezionando ben 8 ritiri e riuscendo a prevalere solo in 4 occasioni, mentre Nannini, che aveva iniziato alla grande aggiudicandosi 4 delle prime 7 manches, subì un vistoso calo nella fase centrale della stagione, arrivando a giocarsi il titolo quando mancavano 4 gare alla fine. Con il chiaro intento di sostenere le residue speranze di gloria, in occasione del terzultimo weekend, Pianta aveva perfino convocato dal Campionato Italiano Superturismo un cavallo razza quale Stefano Modena, affidandogli la vettura di Buttiero, ma le cose non andarono secondo i piani. Il modenese fu devastante, conquistando 2 vittorie al debutto e 2 piazze d’onore nell’evento successivo, chiudendo la stagione con 72 punti e il 12° posto assoluto nonostante le sole 6 gare disputate. La sorte si accanì invece contro Nannini che a Singen visse una delle pagine più buie del motorsport con la celebre toccata da parte di Roland Asch, vile scudiero del futuro campione Klaus Ludwig, poi vendicata dal clamoroso tamponamento al termine di una forsennata rincorsa conclusa con il motore in fiamme. Mercedes tornò quindi a fregiarsi del titolo fra mille polemiche, mentre ai vertici del Biscione rimase il rimpianto di aver adottato una gestione politica e sportiva non sempre impeccabile.

Forti del crescente successo, nel 1995 gli organizzatori spinsero per internazionalizzare la serie, inserendo in calendario 5 appuntamenti al di fuori dei confini tedeschi. Nacque così l’ITC che affiancò il DTM dando origine a 2 campionati diversi seppur con i medesimi protagonisti. Grazie ad una normativa sempre più permissiva, le auto cambiarono faccia, diventando a tutti gli effetti dei prototipi concepiti per la pista, e la 155 non fu mai della partita: 5 vittorie su 23 gare, ma soprattutto un numero impressionante di ritiri per noie tecniche che la relegarono a triste comprimaria. La mole di sofisticazioni elettroniche, del tutto simili a quelle impiegate in F1, complicarono la gestione a tal punto che in diverse occasioni le vetture ’94 evolute si rivelarono più efficaci rispetto alle ’95.

Il 1996 segnò l’apice assoluto dell’esasperazione tecnologica applicata ad una vettura “turismo”, anche se di turistico non esisteva più nulla. L’ITC divenne a tutti gli effetti un campionato mondiale sotto il patrocinio della FIA con 13 appuntamenti in 8 nazioni diverse, di cui 2 extraeuropee in Brasile e Giappone. Durante l’inverno Alfa Corse aveva lavorato duramente per porre rimedio alle problematiche vissute nella stagione precedente e Nannini si fece carico delle responsabilità di capo squadra lottando fino alla fine per il titolo assoluto. Soprattutto grazie al nuovo 6 cilindri con V a 90 gradi progettato a stagione iniziata dal geniale Pino d’Agostino, il toscano conquistò 7 delle 10 vittorie totalizzate dalla rinnovata 155, ma sul suo ruolino di marcia pesarono come macigni 5 ritiri e la doppia squalifica patita al Nurburgring per benzina irregolare, così a fregiarsi della corona fu la Opel Calibra di Manuel Reuter.

Fu il canto del cigno di un’avventura fantastica: i costi esorbitanti, le trasferte transoceaniche verso Paesi nei quali i modelli non erano commercializzati e l’assenza di una degna copertura televisiva a causa delle pressioni politiche di Bernie Ecclestone che aveva individuato nell’ITC una minaccia per la sua F.1, spinsero Alfa Romeo e Opel ad alzare bandiera bianca con un anno di anticipo rispetto al progetto iniziale. Il DTM, nella sua accezione più affascinante, finì in quel momento portando con sé il ricordo delle gesta dei costruttori tedeschi. Al contrario l’epopea della 155 V6 TI è rimasta indelebilmente impressa nel cuore di milioni di appassionati che tuttora sussultano ogniqualvolta un’esemplare varca le soglie di musei o garage per una semplice passerella statica o per tornare a dettare legge in una cronoscalata… la sua legge, quella del più forte.