Tempo di lettura stimato: 3 minuti

Mentre la Ferrari si lecca le ferite umiliata dal responso della pista, mentre la Red Bull continua a vivere perenne illusione che possa tornare ad essere l’anno buono, mentre gli altri si limitano ad essere “gli altri” da troppo tempo, La Formula 1 scopre di avere un nuovo padrone. L’epoca in cui Bernie Ecclestone faceva il bello e il cattivo tempo, impegnandosi in prima persona per trovare sponsor e sistemazioni per piloti che potessero accrescere l’appeal della sua “creatura”, è ormai un antico ricordo.

Da quando Liberty Media ha ereditato le redini del Circus, il nuovo presidente, Chase Carey, ha assunto la connotazione di un personaggio trasparente nascondendosi all’ombra dei suoi ingombranti mustacchi. Discreto ribatterà qualcuno, ma l’uomo che governa il Campionato principe dell’automobilismo sportivo, sembra vivere con preoccupante distacco tutto quello che si verifica nel paddock e la cosa non è passata inosservata. A dispetto dei proclami e delle illusioni iniziali, dopo 3 anni sotto l’egida di Liberty Media, la cosa più eclatante che ha riguardato la F.1 made in USA è stata la presentazione del nuovo logo a fine 2017. Così ha iniziato a serpeggiare l’idea che solidità della poltrona presidenziale potesse essere vacillante e Toto Wolff deve averci creduto a tal punto da iniziare ad intraprendere la scalata. Peccato non avesse preso in considerazione un dettaglio non trascurabile: è l’amministratore delegato nonché socio al 30% del team che ha dominato gli ultimi 7 campionati (sarebbero 6, ma è solo una questione di minuti…) e, per quanto possa essere deontologicamente irreprensibile, la cosa non avrebbe incontrato i favori degli avversari. A dicembre dello scorso anno, con sua grande sorpresa, il manager austriaco si è visto precludere la possibilità per mezzo del grimaldello legale che la Ferrari estrae dalla cassaforte ogni qual volta la situazione si fa complicata: “Il Diritto di Veto… etooo…etooo…etooo…” (con l’eco che è sempre parecchio thrilling…). Comprensibile, penserete voi. No: forse per tutti, ma non per lui. Ferito nell’orgoglio e frustrato dalla situazione, il manager austriaco ha smesso i panni dell’avversario rispettoso ed ha vestito quelli del nemico spietato, identificando in Mattia Binotto l’alter ego da distruggere. Le prestazioni messe in mostra dalla Rossa fin dai test hanno facilitato l’operazione, offrendo s’un piatto d’argento una faretra colma di frecce per il tiro al bersaglio: ultima in ordine cronologico, ma non a livello di importanza strategica, la sottile strategia di captatio benevolentiae nei confronti dei tifosi ferraristi messa in atto durante il weekend di Spa (“Nessuno dei tifosi e del popolo Ferrarista merita un simile risultato. Forse dipende dalle decisioni che sono state prese all’interno del team, da alcuni membri della squadra”).

Fin qui potrebbe trattarsi del legittimo tentativo di vendetta di fronte a quello si ritiene essere un torto personale, ma c’è dell’altro. Il potere di Wolff all’interno del paddock è cresciuto a dismisura nel corso degli anni e ne abbiamo avuto una bieca dimostrazione con il caso Racing Point. Non voglio entrare nelle maglie del regolamento per stabilire cosa sia legittimo e cosa non lo sia, non spetta a me e sono convinto che non servirebbe a nulla, ciò che risulta inaccettabile è l’atteggiamento intimidatorio con cui Wolff ha gestito la cosa di fronte agli altri team. Dopo il GP di Gran Bretagna Ferrari, Williams, Mclaren e Renault si erano scagliate in modo veemente contro i commissari FIA che, come troppo spesso accade, hanno asserito che le prese d’aria dei freni usate dalla “Freccia Rosa” sono “legalmente illegali”, creando confusione e sbugiardando il regolamento entrato in vigore a gennaio. Onde evitare possibili ripercussioni per il suo cliente e compare, Lawrence Stroll, Don Toto si è immediatamente prodigato per tappare la bocca a Williams e Mclaren, brandendo il contratto di attuale e prossima fornitura Mercedes, mentre ha offerto interessanti prospettive commerciali al team della Losanga che, magicamente, ha anche iniziato a volare in pista, raggiungendo in un batter d’occhio prestazioni impensabili fino a 2 settimane fa. La Ferrari è rimasta sola ed isolata in una battaglia legittima che vale per la rispettabilità e la correttezza dell’intera categoria, dimostrando per l’ennesima volta di aver perso per strada tutto il peso politico storicamente garantito dal prestigio del suo marchio.

In 45 giorni Wolff ha dato prova di possedere un controllo che va oltre le normali facoltà di un team principal, forte di un dedalo di alleanze più o meno spontanee in grado di spostare l’ago della bilancia in modo decisamente superiore rispetto a quanto fatto da qualsiasi altra figura nel corso della storia della F.1. Il Patto della Concordia firmato alla vigilia del weekend belga è stato una sconfitta per chi aspirava ad una equa spartizione delle risorse: grazie alla clausola di uscita qualsiasi team che non vedrà assecondate le proprie aspettative sarà libero di minacciare l’abbandono per mettere sotto pressione avversari e organizzatore in barba agli accordi siglati ed alla stabilità regolamentare. L’ennesima vittoria che pone il team di Brackley ed il suo amministratore delegato nelle condizioni di continuare a dettare le regole del gioco per i prossimi 5 anni.