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18 Novembre 2018. Macau, ex colonia portoghese. Circuito Guia, Curva Hotel Lisboa. Staccata violentissima e piega secca a destra. Passa il primo, passa il secondo, passa il terzo. Passano il dodicesimo e il tredicesimo, poi un flash arancione attraversa il campo visivo ad una velocità che rende impossibile capirne forme e dimensioni. Boom. Un frastuono pazzesco riempie l’aria e sconvolge la giornata di quanti erano assiepati sulle tribune. Red Flag: chi è passato va, chi arriva alza il piede più di quanto il rosso della bandiera spinga abitualmente a fare un ragazzino determinato a frenare un centimetro dopo il rivale. Hanno capito tutto, ma stentano a crederci. Quando frequenti circuiti e paddock convivi costantemente con il peso della frase “Motorsport is dangerous”, ma non sei mai preparato a vedere una monoposto volare sopra le altre a 270 km/h e schiantarsi oltre le reti su un circuito cittadino.

Chiunque ebbe la percezione di aver assistito all’incidente più terrificante dell’ultimo trentennio, chi non lo fece in diretta ne ebbe l’occasione tramite i social network che rilanciarono il video nel giro di pochi minuti: non si trattava di capire se ci fossero vittime, ma, tutt’al più, di conoscerne il numero. Per quanto solido fosse il telaio della Dallara, pensare che il pilota potesse essere sopravvissuto era pura utopia: 2 metri oltre le reti, installata a ridosso della Hall dell’albergo, c’era una tribuna per fotografi e cameraman che aveva azzerato la velocità della monoposto in modo pressochè istantaneo, 270 – 0 km/h in un battito di ciglia. Trattandosi della prima staccata dopo un lunghissimo rettilineo, la Lisboa rappresenta storicamente il punto più spettacolare, quello dove spesso si risolvono le battaglie con sorpassi o clamorose carambole, quindi è piena zeppa di commissari e fotografi: quel giorno, per un puro miracolo, tornarono tutti a casa. Sulla traiettoria della monoposto c’erano 4 persone: due riuscirono a spostarsi di quanto bastava per evitare di essere colpite, altre due si rannicchiarono sotto le barriere, finendo per essere sovrastate dalle reti che, dopo aver modificato l’angolo di impatto della monoposto, crearono una sorta di riparo, proteggendole mentre ricadeva al suolo. Chan Cha, un commissario, venne parzialmente schiacciato dal retrotreno, subendo alcune ferite all’addome ed al volto, Chang Weng Wang, un fotografo, riportò ferite interne, mentre il collega Minami Hiroyuki lamentò una commozione cerebrale.

Già, ma che ne fu del pilota?! Dopo essere entrata in contatto con la monoposto di Daruwala ed aver subìto la rottura delle sospensioni sul lato sinistro, la Dallara n.25 arrivò in prossimità della Lisboa con il posteriore rivolto verso le barriere decollando prima sul cordolo interno e poi sulla monoposto di Tsuboi. Il retrotreno venne agganciato dalle reti e la vettura impattò verticalmente sulla tribuna retrostante: per una serie di miracolose circostanze la cellula di sopravvivenza evitò ostacoli, riportando pesanti danni solo alle spalle del roll bar e salvando la vita a quella che tutto il Mondo ebbe modo di conoscere come Sophia Floersch. Le ore successive furono convulse, venne subito portata in ospedale insieme a Tsuboi, al commissario ed ai fotografi: le prime indiscrezioni parlavano di un infortunio alla schiena con fratture spinali, per le quali si rese necessario un intervento chirurgico di oltre 10 ore, al termine del quale venne annunciato che, miracolosamente, non avrebbe riportato danni permanenti. Meno di un mese dopo, Sophia stupì il Mondo annunciando il suo rientro alle corse per la stagione successiva al volante vettura dello stesso team Van Amersfoort.

Sportivamente il 2019 fu un anno avaro di soddisfazioni con risultati deludenti e parecchi ritiri dovuti a problemi meccanici, ma sul finire di stagione avvenne qualcosa che cambiò la storia: l’incidente che avrebbe potuto porre fine alla sua carriera divenne in realtà un trampolino di proporzioni clamorose e, come la Fenice, Sophia ebbe la capacità di rinascere, grazie ad un seguito internazionale cresciuto a dismisura. A Novembre con il sostegno della Mercedes, di diverse Imprese locali e di diversi facoltosi imprenditori internazionali, tornò a Macau per riprendere il filo interrotto della sua avventura in terra asiatica.

A patire dal 2020 sotto l’egida del Richard Mille Racing Team è sbarcata nel mondo delle ruote coperte, partecipando alla European Le Mans Series con un equipaggio interamente femminile e prendendo parte alla 24 Ore di Le Mans insieme a Tatiana Calderon e Beitske Visser. La vetrina della Sarthe ha dato ulteriore lustro alla sua carriera confermandola nel ruolo di faro mediatico del Team anche la stagione successiva con il passaggio al Fia Wec, sempre al volante dell’Oreca 07 Gibson Lmp2 nell’inconfondibile livrea rosso metallizzato. Il 2021 è stato un anno molto intenso: incassato il supporto della Schaeffler, Sophia è diventata il volto femminile del DTM con un impegno continuativo a bordo della AUDI R8 LMS GT3 del Team Abt Sportsline. Intuito l’enorme potenziale della partnership, l’azienda tedesca ha deciso di nominarla propria ambasciatrice affidandole anche l’onere e l’onore di guidare il prototipo elettrico da oltre 1200 CV sviluppato insieme all’ITR, promotore della serie.

La stagione appena conclusa usa avrebbe dovuto rappresentare il salto definitivo nel mondo del professionismo grazie all’approdo in seno al colosso russo G-Drive Racing a fianco di Roman Rusinov per un impegno nella European Le Mans Series con il supporto tecnico dell’Algarve Pro Racing, team con il quale, a fine 2021, aveva colto un prestigioso podio nella 4 Ore di Portimao, nell’unico appuntamento disputato. Le note vicende del conflitto russo-ucraino con la messa al bando di esponenti russi dalle federazioni internazionali hanno finito per ridimensionare le aspettative costringendola a ripiegare su un programma con il team portoghese, con al quale ha conquistato, comunque, un altro podio al Paul Ricard e perdendone un altro ad Imola a causa di una foratura nello stint finale.

Oggi Sophia è senza ombra di dubbio uno dei volti più seguiti del panorama motoristico internazionale, una ragazza che è stata in grado di capitalizzare al meglio l’esposizione mediatica derivata dal clamore dell’incidente di 4 anni fa, creando, intorno al suo nome e in un brevissimo lasso di tempo, un prodotto che non c’era, arrivando a ricoprire il ruolo di quella che potrebbe essere definita una racing influencer: youtube, tiktok, facebook o instagram la descrivono come una protagonista in costante ascesa, forte di un atteggiamento deciso ed una maturità che va ben oltre i 22 anni descritti dalla carta d’identità. E’ una personalità libera e lontana dalla demagogia sportiva, per nulla intimorita dalla necessità di manifestare pareri talvolta impopolari, come quando ha criticato apertamente l’atteggiamento opportunistico della Fia in relazione al sostegno della Donna nel Motorsport, entrando in polemica anche con la Ferrari, in modo tutto sommato condivisibile, in merito alle scelte della Driver Academy. Nel corso degli ultimi 2 anni avuto la capacità di giocare con la sua immagine, candidandosi a diventare una delle più forti esponenti del gentil sesso del motorsport, non disdegnando di mostrare il proprio lato femminile, ma senza scadere mai nella banalità o dovendo ricorrere a quella vena maliziosa che tanto contrasta con le lotte di genere. Basta frequentare il paddock nei weekend di gara che la vedono protagonista per rendersi conto di quanto sia dirompente la sua popolarità: che si tratti di un appuntamento del DTM o della 24 Ore di Le Mans, il suo sorriso è uno dei più ricercati dai promoter e dagli appassionati che le riconoscono il fascino e la semplicità di chi ha saputo crescere senza montarsi la testa. In un ambiente prettamente maschile è riuscita nell’impresa di crearsi un autorevole spazio da pilota, donna, veicolando un messaggio molto più potente e trasversale di qualsiasi campagna di sensibilizzazione studiata a tavolino.

 

picture, credit to facebook.com/sophiafloersch