Tempo di lettura stimato: 2 minuti

Passano gli anni, scadono i contratti, ma la sorte del GP d’Italia a Monza continua ad essere pericolosamente in bilico. Terminata l’epoca del gettone “scontato” garantito da Bernie Ecclestone fino al 2015 grazie agli anni di permanenza in calendario ed al prestigio del tracciato, a partire dal 2016 gli organizzatori hanno dovuto far fronte ad un impegno molto più oneroso, culminato con i 24 milioni di € richiesti per l’edizione 2019. Aci, Sias e Regione Lombardia sono ora chiamate nuovamente a sedersi al tavolo per le trattative di rinnovo con un interlocutore diverso, ma non meno esigente: Chase Carey, il boss di Liberty Media che, una volta issatosi ai vertici della F1, ha dimostrato di voler proseguire lungo il sentiero tracciato dal predecessore, rinnovando accordi per i quali gli organizzatori locali faticano sempre più spesso ad trovare risorse, finendo sistematicamente per attingere a finanziamenti statali.

Vista la situazione economica in cui si trova il nostro Paese è lecito chiedersi se sia tuttora opportuno impegnare una rilevante somma di denaro pubblico per organizzare un evento che, in modo sempre più evidente, risulta essere fine a sè stesso. Sia chiaro, il weekend del Gp d’Italia porta sempre una ventata di passione sulle tribune del circuito di Monza e, grazie al richiamo della Ferrari, è in grado di regalare un calore raggiunto solo in tempi recenti dalla folla oceanica dello stadio sorto al posto della Peraltada dell’Autodromo Hermanos Rodriguez in Messico, ma manca quella filiera che, in un sistema ideale, dovrebbe rappresentare il contesto socio-culturale. Oggi come oggi organizzare il Gp d’Italia equivale a comprare una Pagani Huayra BC per parcheggiarla nel salotto di casa: bella, splendida e invidiabile, ma sempre e solo un esercizio di stile.

Da anni la cultura sportiva del nostro Paese ha intrapreso un drastico declino. Fino a qualche anno fa i circuiti italiani erano tappa fondamentale di qualsiasi campionato di alto livello, poi gli organizzatori hanno capito che continuare a portare vetture in pista con poche migliaia di spettatori rappresentava uno spettacolo deprimente per piloti, team e sponsor. I weekend di alto livello si sono ridotti all’osso, ma per la gente contava solo la F1, quindi salvata quella, contenti tutti. Bisognerebbe invece fermarsi e chiedersi umilmente perchè negli ultimi anni i principali campionati internazionali abbiano toccato solo marginalmente il nostro Paese: il WEC ha fatto tappa a Monza con il prologo dei test pre-campionato nel 2017, proprio l’anno in cui il defunto WTCC decise di re-inserire in calendario una tappa italiana, salvo poi tornare entrambi a preferire altri lidi a causa dei deludenti ritorni di pubblico. In questo contesto non possiamo continuare a lottare per mantenere in vita un evento che non ha più nulla da trainare: l’indotto turistico generato nella settimana del Gran Premio non si ripercuote sul resto del calendario e pochi dei 180.000 che partecipano all’evento nell’arco dei 3 giorni, tornano per assistere ad altri weekend di gara, nonostante il costo dei biglietti sia a dir poco popolare.

È il momento della riflessione, prendiamoci il tempo necessario per trovare le soluzioni che possano restituire vagoni ad una locomotiva che ne ha lasciati troppi per strada.