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No, non si può dire che fosse bella, ma nessuno aveva chiesto che lo fosse.
L’unica cosa che doveva fare era andare forte, e si, la Ferrari GTO Evoluzione andava maledettamente forte! A dirlo furono tutti quelli che la provarono prima che andasse in pensione senza mai aver avuto modo di “lavorare” un solo giorno.

La sua storia è stata uno dei mattoni più importanti per la costruzione della reputazione delle Ferrari stradali moderne.

Nei primi anni ottanta le Ferrari stradali purtroppo stavano perdendo l’aura di supremazia e di imbattibilità: la 308 GTBi sviluppava appena 215 cv, a causa dell’adozione della iniezione elettronica, mentre le 208, prima dell’adozione di turbocompressori, superavano di poco i 155 cv.
Inoltre gli altri costruttori, che non rimanevano a guardare, sfornavano modelli sportivi sempre più prestazionali, così poteva capitare che il proprietario di una 308 potesse prenderle al semaforo da qualcuno che guidava una BMW M3, e questo non era certo edificante, vista la differenza di prezzo e di prestigio delle due auto.
Quando Enzo Ferrari fu informato, ovviamente non la prese bene e chiese ai suoi ingegneri di ristabilire l’ordine delle cose progettando una granturismo che potesse dimostrare di cosa erano capaci a Maranello. Di questo fu incaricato l’ingegner Materazzi che partendo dalle linee della famosa “millechiodi”, una 308 a cui erano stati gonfiati i fianchi con lamiere rivettate, tirò fuori la 288 GTO.

L’appellativo GTO, era una pesante eredità, derivava dalla 250 degli anni ’60 che vinse tutto quello che poteva vincere, ma la 288 seppe portare degnamente quel nome così importante. Costruita in 272 esemplari era equipaggiata con un motore a 8 cilindri sovralimentato da due turbocompressori montato longitudinalmente. Le prestazioni erano al top per l’epoca, i 400 cavalli di cui era capace il motore spingevano la vettura fino ai 305 km/h, e le linee muscolose incutevano un certo timore.

Ma l’ingegner Materazzi aveva altro in mente.
Durante un confronto con Enzo Ferrari espresse la necessità di riportare un’auto di serie nel mondo delle corse, così da poter capire le vere potenzialità dello sviluppo delle vetture stradali. In quel periodo stava nascendo una nuova categoria che prevedeva gare in pista e su strade aperte riservata a vetture di serie: il Gruppo B. La sua idea era di prendere la 288 GTO e modificarla per iscriverla al campionato. Superate le prime perplessità per la competenza decisionale, Materazzi ebbe l’autorizzazione a partire col progetto della GTO Evoluzione, e subito si mise all’opera. La base di partenza era perfetta, Michele Alboreto, proprietario di una 288 GTO, non perdeva occasione per esaltarne le doti di perfetta Gran Turismo: veloce, affidabile ed equilibrata in tutte le occasioni.

Le modifiche alla 288 furono radicali, il motore fu pesantemente trasformato, nuovi pistoni, due turbocompressori più grandi e una gestione della parte elettronica derivata direttamente dalla Formula 1 portarono la potenza a 650 cv; d’altra parte una drastica cura dimagrante ridusse il peso a 940 Kg, ottenendo un rapporto peso potenza inferiore ad 1.5 CV/kg.
Della carrozzeria in principio doveva occuparsene la Pininfarina, ma Materazzi non era soddisfatto del coefficiente aerodinamico ottenuto e così si mise personalmente al tavolo da disegno. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un frontale tozzo e sgraziato, una coda tronca che sembra lo sfogo di una caldaia, sormontata da una grossa ala e il resto della vettura disseminato da prese Naca. Bruttina si, ma con un cx quasi da record di 0,29.

I numeri spesso non sono esaurienti, un’auto da corsa deve dimostrare il suo valore in pista, purtroppo, la GTO Evoluzione non ne ebbe mai l’occasione.
Dopo i decessi di Bettega e Toivonen la FIA modificò i regolamenti del Gruppo B per rendere la categoria meno pericolosa, ponendo di fatto fuori norma alcune auto come le Porsche 959 e le Ferrari GTO Evoluzione. Il progetto quindi era destinato ad essere accantonato. I collezionisti fecero pazzie per comprare i 5 esemplari costruiti (6 contando quello che di fatto era una vettura laboratorio). Oggi poterne ammirare una è abbastanza difficile: un esemplare è ancora di proprietà della Ferrari, un paio sono in America, uno in Giappone e indovinate un po’, uno fa parte della collezione del sultano del Brunei.

Prima di rinchiudere l’esemplare che rimase alla fabbrica nel museo di Marnello, il Grande Vecchio fece provare l’auto ad uno dei più fidati collaudatori, il quale la trovò magnifica, “la migliore auto che avesse mai provato” e pregò Ferrari di non mandare in pensione quell’auto.
Ferrari quindi chiamò Materazzi e gli chiese di tirar fuori dalla Evoluzione un’auto stradale, ed è così che nacque la F40.