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Alberi, tantissimi alberi. Il verde intenso delle fronde si staglia come una parete ai lati del campo visivo e per uno strano gioco della mente sembra quasi rassicurante. Gli occhi fissano un punto lontano lungo un nastro d’asfalto che sembra non finire mai, fino a quando uno squarcio improvviso non li riempie di luce. Un calcio al pedale del freno, cinque colpi alla leva del cambio e l’udito si rianima: l’urlo ormai ovattato del motore a pieno regime lascia spazio a rapidi sussulti. Le cinture trattengono a stento un corpo che vorrebbe continuare a correre, il resto lo fa l’anima: mentre il casco sobbalza da un lato all’altro, le braccia capiscono che è il loro momento. Il volante pendola deciso a destra, poi fulmineo a sinistra. L’ampiezza del movimento si riduce, la rapidità no. Correzione dopo correzione, le ruote anteriori assorbono le intemperanze del retrotreno sbarazzino, prima di tornare dritte e puntare la Ostkurve. Il piede destro telegrafa con l’acceleratore, poi se ne innamora e decide di sposarlo finchè staccata non li separi. Le marce risalgono una dopo l’altra: a 340 all’ora la percezione della distanza cambia radicalmente, ma il tratto in uscita dalla BremsSchikane1 è lungo e l’udito torna ad assuefarsi allo strillo insistito. Intorno è di nuovo tutto verde. Poi la luce. L’orizzonte si riempie di piccole macchie colorate in movimento, quella che conta è bianca e ferma. Eccola! Le pinze mordono i dischi, le mani si aggrappano al volante e il collo si affida alla speranza. L’anteriore sinistra la punta decisa: è sua. Il cordolo è una fucilata che scompone tutto, pensieri, parole, opere ed omissioni. Quando il posteriore tocca di nuovo l’asfalto, i lombi ringraziano e ricamano l’accenno di controsterzo che precede il ritorno di fiamma tra piede e pedale: quindici secondi di bacio appassionato che valgono un “Si lo voglio” e la “benedizione” della Foresta Nera. “300”, “200”, “100”: pannelli gialli numerati lampeggiano come flash nella pupilla destra mentre quella sinistra sta già braccando il primo apice della BremsSchikane2. Il respiro si ferma di nuovo, gli addominali si contraggono e si preparano alla danza: sinistra, destra, sinistra in un esercizio di fede che fa da cuscino tra il coraggio e la follìa. Un sobbalzo in uscita dall’ultimo cordolo ed il sipario si chiude, da lì in poi saranno solo ricordi…

Per chi ha avuto la fortuna di conoscere l’Hockenheimring nella sua versione più celebre, il Gran Premio di Germania ha smesso di esistere il 29 luglio del 2001… Concepito nel 1932 sui sentieri che si sviluppavano all’interno della Foresta Nera, il circuito del Baden-Württemberg misurava originariamente 12 chilometri, aveva una pianta triangolare e per 5 anni rimase pressoché intatto. Nel 1938 vennero avviati i lavori per trasformarlo in una struttura permanente con l’allargamento della carreggiata grazie ad ingenti opere di disboscamento, ma soprattutto venne dotato di un disegno più armonioso con la creazione della Ost Kurve e la riduzione della lunghezza a poco meno di 8 chilometri. Negli anni ’60 lo sviluppo commerciale della Germania rese indispensabile la costruzione di alcune importati arterie autostradali ed il tracciato pagò il suo tributo con il taglio di un altro chilometro in direzione del centro cittadino: nacque così una zona caratterizzata da un toboga di curve in sequenza divenuta celebre con il nome di Motodrom. I 6800 metri circa di questa configurazione sono rimasti pressoché intatti per quasi 35 anni, se si esclude l’introduzione delle Chicane sui due lunghissimi rettilinei, richiesta dai piloti in vista del debutto del Mondiale di F1 nel 1970. In seguito all’incidente di Niki Lauda al Nurburgring, a partire dal 1977 il GP di Germania si stabilì in pianta stabile sul tracciato alle porte di Manheim e per 24 anni è stato sinonimo di velocità assoluta. Per ridurre al minimo il drag sui lunghi rettilinei, i team realizzavano configurazione aerodinamiche estreme ed ogni giro rappresentava una sfida incredibile: affrontare le varianti e il Motodrom significava sfidare le leggi della fisica, lottando costantemente con l’equilibrio precario causato dalla mancanza di carico.

Sul finire degli anni ’90 le esigenze della FOM e, di conseguenza della F1, spinsero gli organizzatori a varare un progetto di pesante trasformazione: la conformazione del tracciato rendeva, infatti, poco fruibili gli spazi pubblicitari e, con un numero limitato di passaggi, la redditività della cartellonistica era inferiore rispetto ad altri tracciati. Si stabilì poi che l’introduzione di un tratto più tortuoso avrebbe consentito la costruzione di nuove tribune e, di conseguenza, la possibilità di accogliere un maggior numero di spettatori paganti. Alle TV sarebbe stata offerta la possibilità di coprire l’intero evento con minori costi organizzativi e maggiori opportunità di ripresa a beneficio del risultato finale.

Al termine di una lotta estenuante con gli ambientalisti nel 2001 il progetto divenne operativo: l’ingente opera di disboscamento necessaria a realizzare la nuova configurazione ottenne l’autorizzazione a fronte della distruzione del nastro d’asfalto che si estendeva dalla Nord Kurve alla BremsSchikane2, divenuta nel frattempo “Senna Schikane”. Se ne andò così il tratto più iconico del circuito, sostituito da un insulso dedalo di curve senza senso: milioni di appassionati gridarono allo scandalo, denunciando la distruzione di una pietra miliare della storia del motorsport.

Oggi a distanza di quasi 20 anni, del vecchio Hockenheim resta solo la triste impronta nel verde della Foresta Nera, ciò nonostante, centinaia di visitatori continuano a rendere omaggio alle imprese dei campioni del passato con visite e pellegrinaggi dando vita ad un costante tributo alla memoria.