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Il 23 Aprile 2006 ero sulla collina della Rivazza, il secondo Gran Premio dal vivo nella mia vita. Anni di test e prove libere, ma l’emozione della gara era una novità arrivata solo l’anno prima: stesso posto, stessa organizzazione, stessa pelle d’oca.

La Rivazza non è posto per chi ama la comodità: le tribune sono ridotte all’osso e lo zoccolo duro degli appassionati è solito darsi appuntamento sulla collinetta. Cantavano ancora i V8 e le F1 ti sorprendevano alle spalle, in pieno, dopo essere uscite dalla Variante Alta. Picchiata verso la Rivazza 1, staccata “alla sperindio” e poi via di cesello in appoggio sui cordoli esterni prima di aprire verso la Variante Bassa: chirurgico, millimetrico e in apnea. Dopo una stagione difficile vedere la Ferrari davanti a tutti era un sogno e il pubblico viveva ogni passaggio in simbiosi con Schumy.

Ricordo ancora la disperazione del bimbo che accanto a me seguiva la gara stritolando il braccio del papà, quando Ide parcheggiò Albers nella ghiaia all’esterno delle Acque Minerali: il problema non era Albers (che uscì prontamente dalla sua Midland), ma la Safety Car che spezzò la calma apparente di una partenza perfetta della Rossa dalla Pole.

Da lì fu una memorabile, piacevolissima, sofferenza: la rimonta dell’asturiano e la strenua difesa di Schumy con il pit stop in marcatura seguito in rigoroso silenzio fino all’esplosione di “Vai! Vai!” all’uscita della pit-lane. Le nostre Bridgestone che si cuocevano subito contro le sue eterne Michelin, ma quel giorno non ce ne fu per nessuno. Il resto è qualcosa che o l’hai vissuto o è inutile raccontarlo…