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Era nell’aria da tempo: alla fine il BIG ONE è arrivato. Sopita da anni di dominio incontrastato, propiziato da una superiorità tecnica imbarazzante, la rivalità tra Lewis Hamilton e Max Verstappen ha visto un’improvvisa recrudescenza nel corso di questa stagione: prima le scaramucce in Bahrain, poi le sportellate di Imola, le reciproche accuse di irregolarità ed infine l’episodio che metterà senza dubbio fine a qualsiasi rapporto civile tra i due. Il contatto avvenuto a Silverstone nel corso del primo giro del GP di Gran Bretagna è qualcosa che va oltre il normale incidente di gara: è una dichiarazione di guerra reciproca, una mancanza di rispetto della vita, propria e di quella del rivale. Affrontare la Copse appaiati non è impresa da cuori impavidi, è una follia che denota una preoccupante perdita di lucidità.

Verstappen è un pilota che ha costruito la propria carriera su un incredibile talento e su un’aggressività fuori dal comune: il suo debutto in F1 è stato condito da una lunghissima serie di contatti e polemiche che gli avevano procurato l’etichetta del pilota pericoloso. In realtà, al termine di un lungo processo di maturazione, nelle ultime 2 stagioni è riuscito nell’impresa di scrollarsi di dosso questo pesante fardello, stando lontano dai problemi e mostrando prestazioni impressionanti anche quando la sua vettura non era al top.

Dall’altro lato della barricata, Hamilton dopo un debutto fulminante ed una lunga paretesi interlocutoria, una volta sposato il progetto Mercedes ed inaugurata l’epoca power-unit, ha vissuto 7 anni di relativa tranquillità, conquistando 6 titoli Mondiali senza la necessità di protrarre a lungo il duello in pista. L’ultima volta che successe fu nel 2016 quando lo stato di forma di Rosberg fu tale da metterlo spesso nelle condizioni di dover inseguire ed anche in quell’occasione non mancarono episodi polemici: alla fine di una logorante stagione il britannico dovette cedere lo scettro al compagno di squadra, senza peraltro riconoscerne mai pubblicamente i meriti.

Il 7 volte campione del Mondo è un pilota di assoluto livello, i numeri sono tutti dalla sua parte, ma è un pessimo perdente, incapace di accettare che qualcuno sia in grado di esprimersi meglio di lui. Predica a favore delle lotte serrate, in nome dello spettacolo e dei fasti del passato, ma è il primo ad aprirsi in radio per supplicare una punizione quando un avversario riesce a mettergli le ruote davanti in modo energico, salvo poi utilizzare qualsiasi centimetro di pista ed oltre quando è costretto a difendersi. Nel corso degli ultimi 4 mesi ha sofferto più che mai la solidità del binomio Verstappen-Red Bull, tanto da ritrovarsi, per la prima volta dopo parecchio tempo, a ricoprire il ruolo dell’inseguitore. La crescente frustrazione ha iniziato a fare breccia nella corazza imperturbabile del cavaliere oscuro, lasciando trasparire segni di debolezza sui quali l’olandese si è avventato come un predatore chirurgico. La spallata rifilata al rivale nella pit-lane di Imola al termine delle qualifiche è stata qualcosa di insolito per un personaggio solitamente molto pacato: voleva essere un gesto di sfida ma si è rivelato un segnale di debolezza. Il Re Nero fresco di pole che, serio in volto, cercava il contatto fisico con il giovane rivale stupito e divertito. L’espressione di Verstappen è stata eloquente, il suo volto illuminato dal sorriso sornione di chi ha colto una debolezza inaspettata, ha sancito una nuova consapevolezza: “Hamilton mi teme e domani ne avrà la conferma”. Detto-fatto, con la spallata subìta in pit-lane, restituita in pista alla prima staccata e il britannico ferito nell’orgoglio caracollante sul cordolo del Tamburello, lestissimo come di consueto a cercare il pulsante “RADIO” con il pollice per denunciare il torto.

La stagione è poi proseguita con alterne fortune, fino al considerevole allungo di Verstappen propiziato anche dal clamoroso weekend di Baku, con l’inglese incapace di sfruttare il ritiro del rivale quando aveva 18 punti comodi in tasca. Il desiderio di distruggere il morale dell’avversario è stato l’ennesimo segnale di una perdita di lucidità tale da spingere Hamilton a compromettere un risultato consolidato per la bramosia di una vittoria che potesse infliggere maggiore sofferenza. In Francia ed in Austria, il pilota della Red Bull è stato magistrale mettendo in scena un canovaccio del tutto simile a quello con cui il 7 volte campione del Mondo ha costruito gran parte dei suoi successi nelle stagioni passate, alimentando il senso di smarrimento del Team Mercedes.

Si è quindi arrivati a Silverstone in un contesto ambientale molto particolare, con il pubblico britannico assiepato sulle tribune, fresco di ferita calcistica, determinato più che mai ad esaltare il proprio beniamino. Ma dopo aver conquistato la pole virtuale del venerdì, Hamilton ha dovuto far fronte ad una nuova sconfitta al termine della sprint race ed è stata la fine. Mezzo giro, un sorpasso reciproco ed un duello che non poteva durare di più: è la fisica, alla Copse, in due non si passa. Risultato: Verstappen a muro con 51G di impatto e monoposto distrutta. Non credo sia necessario ragionare sulle responsabilità del contatto perché lo hanno già fatto gli steward comminando alla vettura n.44 una penalità in tempo da scontare lungo la gara, ma sarebbe opportuno ragionare su quello che questo episodio comporterà da ora in poi. Entrando in quel modo nella velocissima destra che precede l’iconico Complex, Hamilton ha compiuto una manovra disperata, sapendo perfettamente quello che sarebbe successo: ha messo in conto la possibilità di un contatto, ben consapevole del fatto che nell’urto tra la posteriore destra del rivale e la sua anteriore sinistra non avrebbe avuto la peggio. Sia ben chiaro: non siamo convinti che la sua intenzione fosse quella di ferire Verstappen, ma dal modo in cui ha approcciato la staccata era chiaro che il suo interesse fosse quello di non permettere all’olandese di uscire davanti a lui. Beneficiando della successiva bandiera rossa per le riparazioni del caso e scontando la penalità rimediata nel corso del pit-stop, Hamilton è poi andato a vincere la gara recuperando clamorosamente 25 punti di distacco nella classifica Mondiale.

Subissato dalle critiche e tempestato dalle domande, Michael Masi si è affrettato a tutelare l’immagine dei commissari che, a detta sua, hanno il compito di giudicare gli episodi e non le conseguenze, ma alla luce del regolamento attuale è davvero così? Innanzi tutto è opportuno paragonare quanto avvenuto a Silverstone a quello che si è verificato 2 settimane fa in Austria: dinamica simile con due vetture appaiate che entrano in curva, una resta in pista, l’altra no. Nel primo caso c’è un contatto che provoca un incidente serio, nel secondo no. Eppure la sanzione comminata ad Hamilton e Norris è stata simile: 10 secondi nel primo caso, 5 nel secondo, ma con la sostanziale differenza che il pilota della Mercedes ha tratto un doppio vantaggio eliminando il rivale in maniera definitiva, mentre Perez ha potuto continuare tranquillamente la sua corsa.

Proseguendo il ragionamento sorge spontaneo analizzare l’entità del danno patito dalla RB16B in ottica campionato. Il regolamento prevede l’obbligo di impiegare un numero massimo di componenti per power-unit e trasmissione imponendo penalità inderogabili per chi è costretto ad andare oltre. Se venisse confermato quanto dedotto dalle immagini, il motore e il cambio della Red Bull n.33 saranno da buttare mettendo l’olandese nelle condizioni di dover scontare una o più penalità da qui a fine anno e complicando la rincorsa all’iride.

C’è poi il capitolo Budget Cap, che dall’inizio del 2021 regolamenta le economie dei team introducendo un tetto massimo di spesa che si ripercuote sui ricambi ed impone un attento calcolo della “fatturazione” oraria per quanto riguarda gli sviluppi. L’impatto rischia di costare al Team di Milton Keynes ben più di quanto messo a bilancio dalla Mercedes per l’incidente che ha visto protagonista Bottas ad Imola.

Anche estraniandosi dal ragionamento semplicistico che porta a ritenere ingiusto il fatto che un pilota possa non solo concludere ma addirittura vincere una corsa nel corso della quale ha eliminato il rivale diretto, risulta del tutto priva di fondamento la teoria sostenuta dal Direttore di Gara perché fondata su un presupposto anacronistico. Il regolamento sportivo attuale è fortemente votato al controllo, talvolta in modo talmente invasivo da inficiare le gare a fronte di episodi veniali (vedasi Canada 2019), non si comprende quindi come il Circus del “Politically Correct” alla luce di simili presupposti, possa chiudere con un buffetto un procedimento a carico di chi, cavalcando ogni domenica lo slogan “We Race as One” predica giustizia ed equità. I 10 secondi comminati ad Hamilton non solo sono ridicoli rispetto al guadagno ottenuto con la manovra, ma rappresentano un pericoloso precedente perché, da ora in poi, chiunque verrà assalito dalla tentazione di accompagnare un rivale nella via di fuga, saprà che al massimo rischierà di subire una sanzione irrisoria.

 

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