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Monza, 09 Settembre 1994 ore 10,30 del mattino. Avevo 13 anni ed ero seduto sul sedile posteriore di una Lancia Y. Per la prima volta stavo entrando nel Parco e istintivamente pronunciai la frase: “Zia abbassa i finestrini”. Poi fu solo pelle d’oca… Il mio primo impatto con la Formula 1 fu esattamente così. Quel giorno non mangiai dall’emozione: dopo anni di desideri, ero riuscito finalmente a coronare il sogno di vedere le monoposto dal vivo e non sentivo il bisogno di altro, ero quasi in trance, ma uno dei ricordi più limpidi, a 25 anni di distanza, resta il fragoroso sound dei motori aspirati che risuonavano a distanza, appena varcate le mura del grande polmone verde.

Ogni tanto corro con la memoria a quel periodo e quando torno all’attualità mi rendo conto di come la F.1 abbia intrapreso un percorso di profondo cambiamento allontanandosi dalla gente e trasformandosi in esercizio tecnologico fine a sé stesso. Se vi dovesse capitare di intraprendere il viale della chiacchierata con un appassionato o un tifoso sulla cinquantina abbondante, con ogni probabilità, nel breve volgere di alcune considerazioni, vi trovereste a discutere di episodi legati al passato, ad un’epoca più o meno lontana, ricca di un fascino che non c’è più. A questo punto e lecito porsi una domanda: la F.1 incarna ancora il concetto di “massima espressione dell’automobilismo”?

Sgomberiamo subito il campo dagli equivoci: non ho la pretesa di essere il depositario di una verità assoluta, ma da appassionato di motorsport non è difficile considerare come altre categorie abbiano mantenuto un rapporto diverso con il fascino. Pensiamo solo alla svolta ecologica che ha portato all’introduzione delle Power Unit: la sostenibilità e la ricerca dell’efficienza ibrida, tanto volute dalla FIA, hanno mortificato quella che è da sempre considerata l’essenza dell’automobilismo, ovvero la suggestione data dalle sonorità dei motori. Negli Stati Uniti hanno ben chiaro cosa significhi vendere emozioni e sulla base di questa priorità Nascar e Indycar hanno costruito il proprio successo su regolamenti semplici e vetture che fanno baccano infiammando il pubblico ad ogni passaggio; purtroppo dal 2014 non possiamo dire lo stesso di un weekend di gara che veda impegnati Hamilton, Vettel e compagni. Dal giorno del suo avvento, Liberty Media ha cercato di commercializzare la F.1 in modo diverso, scegliendo una via comunicativa più moderna e aumentando in maniera esponenziale la diffusione di contenuti gratuiti attraverso i social media con l’obiettivo di ampliare il bacino di utenza ed avvicinare un pubblico più giovane. Il risultato è stato contrastante: se da un lato, oggi tutti possono trovare sintesi e filmati dei momenti salienti pochi minuti dopo il termine delle sessioni, dall’altro, con altrettanta facilità, un utente può sbizzarrirsi nel confronto tra un video onboard attuale ed uno di qualche stagione finendo per amplificare la nostalgia.

A pesare sulla concezione globale del campionato c’è poi il profondo solco creatosi tra i top team e gli altri: nelle ultime 103 gare (quelle dell’epoca ibrida) la Mercedes ha trionfato 77 volte, la Ferrari 14, la Red Bull 12, mentre agli altri sono rimaste solo le briciole. Da qui risulta chiaro come sia pressochè impossibile aspettarsi una vera battaglia in pista in grado di rendere il confronto avvincente. Nonostante il contesto, la bolla mediatica che da sempre la accompagna ha consentito alla F.1 di continuare a vivere di luce riflessa, forte della mancanza di una valida alternativa, di una realtà che potesse portare alla concezione di una forma differente di motorsport, a differenza di quello che invece avvenne a cavallo degli anni ’90 quando il crescente successo del DTM arrivò a minacciare la sua leadership commerciale prima di venire sacrificato proprio in nome della salvaguardia della “massima categoria dell’automobilismo”.

Qualcosa però si sta muovendo e sono sempre di più i timidi segnali di un desiderio di rottura, come dimostrato dagli organizzatori del GP della Malesia che dopo 19 anni hanno deciso di dire basta e uscire dal Circus, spinti dal drastico calo di pubblico delle ultime edizioni, oppure dalla presa di posizione dei rappresentati della FOPA (l’associazione che riunisce i promoter di 16 GP) che, dietro alla protesta per le condizioni di favore proposte da Liberty Media al GP di Miami per il possibile approdo nel calendario, hanno nascosto il malcontento per un prodotto dal rapporto qualità/beneficio ormai difficilmente sostenibile. Allo stato attuale, la F.1 continua, quindi, a vivere un’egemonia tecnologica e mediatica che, soprattutto in Europa, la colloca ad un livello difficilmente raggiungibile per le altre categorie, ma l’immagine globale è quella di una realtà da ricostruire su basi diverse, più vicine al cuore del motorsport, ovvero la passione della gente comune, disposta a svegliarsi all’alba e fare centinaia di chilometri per toccare con mano i propri sogni.

Mentre la F.1 si è lanciata in una nuova stagione preceduta dall’ennesimo cambio regolamentare studiato per favorire la chimera dei sorpassi con più dubbi che certezze, da Sydney arriva la notizia che il governo del New South Wales ha stanziato 33 milioni di dollari per avere l’opportunità di ospitare nuovamente una gara del Virgin Australia Supercars, campionato ai più sconosciuto, ma dal tasso di spettacolarità e competizione senza paragoni. La motivazione?! Aprite l’app di youtube, digitate V8 Supercars e capirete tutto da soli…