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Partendo dalla GTO Evoluzione Pininfarina tirò fuori una carrozzeria aggressiva, bassa e un po’ spigolosa che sorprese tutti quelli che la videro per la prima volta. Forse l’elemento più scioccante e caratteristico era l’enorme alettone posteriore sul quale era impresso il marchio F40 che aveva una forma a ponte e che era perfettamente raccordato ai fianchi diventando un tutt’uno con la carrozzeria. L’unico elemento rassicurante, come fosse un marchio di garanzia era la presenza delle prese d’aria tipo Naca sulle fiancate.

La sensazione di trovarsi davanti ad un’auto da corsa aumentava dopo aver aperto la portiera. Nessuno era abituato a vedere una Ferrari stradale tanto spartana: non c’era un centimetro quadrato di pelle! I sedili erano due gusci rigidi dalle forme avvolgenti, imbottiti(poco) e foderati con una stoffa di un bel rosso vivo; le portiere sembravano incomplete, un pannello forato lasciava vedere l’interno e per l’apertura nessuna maniglia, bisognava tirare una cordicella. Ma quello che più attirava l’attenzione era l’assoluta mancanza di qualsiasi tipo di rivestimento per l’abitacolo. Il kevlar grigio faceva bella mostra di sé ovunque, dall’alto longherone da scavalcare prima di trovare il sedile, fino al pianale dove non c’erano nemmeno i tappetini.

Due serrature alle estremità della coda servivano a chiudere l’enorme cofano motore che in pratica costituiva un terzo dell’intera carrozzeria inglobando i passaruota e il grande oblò dal quale si poteva ammirare il cuore della F40.

Il cofano era incernierato sul tetto e alzarlo non era affatto difficile, visto che era costruito in materiale composito e dopo l’apertura poteva rimanere alzato incastrandolo in una sbarra ripiegata vicino al motore. A cofano aperto la vista era impressionante la prima cosa che si notava erano i larghissimi pneumatici (335/35 R17) P Zero disegnati appositamente dalla Pirelli, e tra di essi l’impianto di scarico montato sopra la scatola del cambio. Appena dietro, il motore V8 montato in posizione longitudinale era parzialmente nascosto dallo scarico a tre uscite e dagli enormi scambiatori di calore delle turbine.

Bassa e larga, la parte anteriore presentava le luci diurne carenate poste davanti ai due fari a scomparsa. Al centro del cofano, costituito da un unico blocco in materiale composito incernierato sul frontale, si aprivano altre due piccole prese naca.

Come detto, la F40 incarna ancora oggi tutta la filosofia della Ferrari, tutto nella vettura era studiato per le prestazioni, senza perdersi in cose futili. Gran parte della sua aurea leggendaria si deve appunto alle prestazioni estreme. Tutti coloro che ne hanno guidata una assicurano che non è un’auto per i piloti della domenica, la potenza erogata dal motore non è per nulla facile da domare, soprattutto a causa del mostruoso turbo lag delle due turbine IHI, ogni volta che si affonda il piede sul gas le enormi ruote posteriori slittano e mantenerla dritta richiede un gran lavoro con lo sterzo. Il cambio, durissimo, scorre nella meravigliosa ed iconica griglia cromata e richiede tanta precisione negli innesti, ma sa regalare grandi emozioni agli esperti che riescono a destreggiarsi con le famose doppiette da eseguire sulla pedaliera in alluminio forato.

Il confronto con le moderne hypercar come ad esempio la LaFerrari potrebbe sembrare impietoso, l’ultima estrema di Maranello ha quasi il doppio dei cavalli della F40, e il rapporto peso/potenza è di 1.7 kg/cv contro i 2,58 kg/CV della sorella più anziana, nonostante questo sono in molti a preferire l’esperienza di guida che assicura l’arzilla vecchietta, molto più vicina all’immaginario della guida di una vera auto da corsa, quella che forse più di tutte incarna veramente lo spirito del fondatore della casa di Maranello.

Insomma, per i veri appassionati delle vetture di Maranello è lei “La Ferrari”, scritto staccato ovviamente!

 

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