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Che a Maranello lo vogliano riconoscere o no, il dato incontrovertibile del 2021 è principalmente uno: gli appassionati hanno scoperto che la F.1 può essere entusiasmante anche senza essere vestita di rosso. Il grigiume dell’era Hybird, caratterizzato dalle tinte fosche dell’assolo Mercedes, è stato spazzato via dalla dirompente esplosione del popolo orange, finalmente libero di festeggiare il proprio idolo, quel cavallo di razza che risponde al nome di Max Verstappen e che a 24 anni e 73 giorni, è diventato il quarto più giovane campione del Mondo della storia.

Nemmeno una mente dalla fervida immaginazione sarebbe stata in grado di partorire una trama dall’epilogo così entusiasmante e capace di regalare ai tifosi assiepati sulle tribune e davanti alle TV di tutto il Mondo, l’intensa emozione di un gol al 90°. Max non è mai stato simpatico, ma ammettiamolo, l’esplosione di gioia udita ad Abu Dhabi è stata qualcosa di incredibile ed ha fatto da contorno alla degna conclusione di una stagione pazzesca. Verstappen ha vinto meritatamente il primo titolo della sua carriera, lottando come un leone contro quello che probabilmente diventerà un mostro sacro della storia della F.1, ma ha anche dato prova di quello che i detrattori di Hamilton hanno sempre sostenuto: senza un mezzo nettamente superiore buona parte dei suoi titoli avrebbe preso strade diverse. Il britannico ha sofferto a lungo lo stato di forma del pilota Red Bull, riuscendo a rimettere in discussione l’esito del campionato in due momenti chiave: il deliberato incidente di Silverstone e l’incomprensibile incremento prestazionale della sua vettura nell’ultimo quarto di stagione, quando la power-unit ha iniziato a colmare quelle carenze aerodinamiche che l’avevano a lungo collocata un gradino sotto la RB16B. Senza questi due dettagli, l’epilogo di Abu Dhabi non ci sarebbe stato: Verstappen avrebbe chiuso i giochi con largo anticipo con buona pace di chi sfoga rabbia e lacrime intravedendo complotti e peccati di lesa maestà.

Essere in grado di gestire la sconfitta con dignità a volte vale più della vittoria stessa: il bieco teatrino messo in scena dai vertici del team anglo tedesco ha creato un profondo danno di immagine a Mercedes tale da offuscare la vittoria del titolo Costruttori e probabilmente anche la valenza dei trionfi degli ultimi 7 anni. Toto Wolff, a lungo, ha cercato di influenzare l’opinione pubblica ed il giudizio dei commissari recitando la parte della vittima sacrificale al cospetto dei giochi di potere organizzati da non si sa bene chi per consentire a Verstappen di prevalere, ma non è mai stato in grado di chiarire la ragione per cui l’elenco delle penalità, comminate dai commissari al rivale, fosse decisamente superiore rispetto a quelle del suo pilota, smontando, di fatto qualsiasi teoria complottistica. E’ il classico atteggiamento di chi assiste impotente al crollo del proprio potere sportivo e politico: le crisi isteriche mostrate in diretta TV di fronte a miliardi di persone a Jeddah ed Abu Dhabi non avevano alcuna valenza umana. Per la prima volta da quando ha assunto il ruolo di Team Principal Mercedes, Wolff si è scoperto vulnerabile e, puntualmente, è stato vulnerato dall’incedere dei fatti: venuta meno la capacità di muovere pedine a proprio piacimento dopo il monito della Federazione per l’avventata corsa in Direzione Gara nei frangenti immediatamente successivi dell’incidente di Silverstone, per il manager austriaco è iniziato un nuovo Mondiale mediatico, nel quale Chris Horner e la Red Bull, non erano avversari da battere, ma spietati invasori dai quali difendersi come eroi. L’idea di avere il diritto di suggerire al Direttore di Gara, Michael Masi, la strategia da adottare in occasione dell’incidente di Latifi decisivo per le sorti della stagione, dimostra quanto fosse totalmente illegittima la posizione di potere raggiunta nel corso degli anni e quale voragine si sia aperta sotto i suoi piedi, quando si è reso conto che le cose avrebbero preso una piega diversa rispetto a quella desiderata.

Masi, dal canto suo, ha commesso errori gestionali non indifferenti, peccando più volte di incoerenza e mettendosi nelle condizioni di essere subissato dalle critiche per le scelte inerenti il duello iniziale e l’impiego della Safety Car nel finale di gara, dimostrando di non avere il piglio autoritario per dirigere un Mondiale di F.1 con un livello di tensione così alto. La scelta iniziale di lasciar correre i piloti senza penalizzare Hamilton è stata senza dubbio indotta dalle polemiche delle settimane precedenti, ma la bomba è deflagrata quando dopo l’iniziale divieto, ha concesso il sorpasso alle vetture doppiate che seguivano Hamilton, mettendo Verstappen nelle condizioni di giocarsi il tutto per tutto all’ultimo giro. Regolamento alla mano non c’erano ragioni per l’esposizione della bandiera rossa: l’entità dell’incidente era gestibile con la Safety Car e le tempistiche di ripristino della pista lo hanno confermato, il problema è sorto a causa della lentezza con cui è partito l’ordine di sdoppiaggio, inviato con un giro di ritardo rispetto al momento opportuno.

Wolff, Hamilton e parte dell’ambiente britannico hanno gridato allo scandalo, intravedendo nella gestione il tentativo di pilotare l’esito della contesa, ma non c’è un elemento oggettivo che possa sostenere una simile teoria. Verstappen ha vinto perchè la Red Bull ha attuato la scelta strategica vincente nel momento opportuno: non avevano nulla da rischiare, ma hanno scommesso sulla ripartenza, mentre Mercedes, che aveva l’opportunità di fare la stessa mossa, mettendo Hamilton nelle condizioni di avere le gomme migliori, ha scelto di non giocare confidando nella durata della Safety Car. In sostanza Hamilton ha pagato pegno al Karma dovendo restituire parte di quanto ricevuto ad Imola, quando un artificio regolamentare gli permise di sdoppiarsi sotto bandiera rossa, recuperare da un suo errore, sostituire una mole considerevole di pezzi e presentarsi al re-start con l’opportunità di conquistare un podio in un GP che altrimenti avrebbe chiuso con un ritiro.

Tutto quello che è scaturito dalla bandiera a scacchi in poi è stato la rappresentazione di un’infantile antisportività di rare proporzioni in ambito pubblico: eccezion fatta per il saluto tra i due contendenti e per l’encomiabile atteggiamento di papà Anthony Hamilton nei frangenti immediatamente successivi, la presa di posizione di Toto Wolff, la mancata partecipazione alla cerimonia di premiazione e la minaccia di ritiro da parte del britannico ricordano tanto le scenette da oratorio nel corso delle quali, sotto di 3 gol, il bimbetto proprietario del pallone, scappava prima della fine, rosso di rabbia al grido “La palla è mia e me la porto via!”

Ai punti l’olandese ha vinto in modo eclatante, concludendo la stagione con 10 vittorie (8 quelle di Hamilton), 10 Pole Position (5 quelle di Hamilton) e 652 giri al comando, più del doppio di quelli di Hamilton e 7 in più di tutti i rivali messi assieme. Verstappen è stato il leader indiscusso del 2021 mostrando un livello di forma eccezionale ed completando il processo di maturazione che lo porterà ad essere il protagonista del futuro di questa categoria.

Quella che doveva essere una stagione di transizione, con vetture di ripiego in attesa del nuovo regolamento si è trasformata in una cavalcata avvincente capace di restituire alla Formula 1 parte della sua dignità dopo un lungo periodo di noia e campionati soporiferi. La grande assente è stata ancora una volta la Ferrari, soddisfatta in cuor suo del terzo posto nel Mondiale costruttori ma con distacchi siderali dal vertice e qualche incognita in più sul futuro. Leclerc ha lasciato per strada la nomea di “predestinato” e stampato su un muretto di Montecarlo l’unica vera occasione di successo della stagione, ma ancor peggio, non ha garantito la superiorità che era auspicabile da un membro del team di lungo corso: Sainz è stato in grado di ambientarsi subito finendogli davanti in classifica e ridimensionandolo non poco. Per giunta, Binotto è riuscito a perdere qualcosa anche quando ormai non c’era più nulla da lasciare sul campo, facendosi soffiare il volante di Giovinazzi e della Ferrari Driver Academy in Alfa Romeo, nonostante il contemporaneo addio di Raikkonen. Il finlandese, dal canto suo, dopo una lunghissima carriera ha finalmente deciso di appendere il casco al chiodo, dicendosi troppo distante dalle dinamiche che hanno sempre regolato l’ambiente e salutando con decisione: andando contro tendenza, è legittimo chiedersi per quale ragione sia diventato il pilota più longevo della storia ritornando dopo il primo addio e fermandosi a lungo in un ambiente ritenuto tanto ostile.

Ora la parola passa al 2022, al nuovo regolamento ed alle nuove vetture che avranno il compito riequilibrare i valori portando più contendenti a giocarsi gare e titolo. Tornerà il numero 1, per il 44 ci sarà da attendere l’esito della consueta recita di fine stagione, ma siamo convinti che le necessità dell’azienda Hamilton non possano prescindere dal suo ruolo attivo nel circus e che, pertanto, all’oratorio si tornerà presto a giocare…