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È sabato 8 maggio 1982, tra meno di un mese compirò otto anni e seduto sul divano accanto a mio padre guardo la Formula Uno in televisione. Si stanno svolgendo le qualifiche del gran premio del Belgio sul circuito di Zolder.

La telecamera segue la Ferrari numero 27 guidata da Gilles Villeneuve che ha appena finito il suo ultimo giro di qualifica.
Sullo schermo si vede la vettura rossa frenare nella preparazione della chicane. Cambio inquadratura, in primo piano la March di Jochen Mass già dentro la esse, mentre alle sue spalle arriva il ferrarista. I due affrontano la doppia curva e si tuffano nel veloce curvone a sinistra. Nuovo cambio, la telecamera ora è lontana e lo zoom schiaccia le due auto che entrano in una zona nascosta alla visuale.

A pochi minuti dalla bandiera a scacchi il miglior tempo di Villeneuve lo relegava all’ottavo posto, ma la cosa peggiore era che il compagno di scuderia, Didier Pironi aveva fatto meglio conquistando un posto due posizioni più avanti. Gilles questo non poteva sopportarlo, non dopo quello che era successo la settimana precedente, e decise di uscire per un ultimo tentativo.

Villeneuve è nel giro di rientro ai box, ha migliorato il suo tempo, ma non la posizione in griglia e come al solito, gira ancora molto forte. Anche Mass ha già fatto il suo giro cronometrato e sta rallentando, vede il canadese negli specchietti e si prepara a farlo passare all’interno spostandosi leggermente a destra.

Gilles era tormentato, era arrivato in Belgio con il peggior stato d’animo, appena una settimana prima a Imola si era sentito tradito da quello che avrebbe dovuto essere il miglior alleato, il compagno di squadra. A causa di un’incomprensione (sostiene il francese), Didier aveva sorpassato Gilles a due curve dall’arrivo approfittando di un rallentamento del canadese che aveva interpretato il cartello “slow” esposto ai box come un “mantenere le posizioni”, soffiandogli di fatto una vittoria meritata e ormai certa.

Per un attimo le due auto scompaiono dall’inquadratura e viste le velocità con cui sono entrate ci aspettiamo di vedere la vettura rossa apparire dall’angolo sinistro dello schermo. Però a sorpresa esce solo la March e la camera inizia a muoversi seguendola. “Dov’è finito Villeneuve?” è il pensiero di tutti quelli che sono davanti ad uno schermo come noi, sembra sparito, poi per un attimo si vede una vettura in verticale sopra il prato: il fondo piatto, le ruote in aria qualche pezzo che si stacca. Ma è solo un istante, la telecamera continua a riprendere Mass. Che cos’è? Abbiamo visto bene? è davvero un’auto? Cosa sta succedendo? D’istinto mi sporgo a destra come se potessi guardare nella parte non inquadrata. Ma quando Mass sterza verso destra per entrare nella Terlamenbocht ecco apparire la Ferrari. Un’auto ormai a pezzi continua una carambola iniziata un centinaio di metri prima sull’erba. I due non si sono capiti, Mass ha lasciato spazio all’interno della curva andando a toccare la Ferrari che intanto tentava di passare all’esterno.
Pezzi di auto volano da tutte le parti, due ruote rimbalzano in mezzo alla pista e rotolano via. La carcassa dell’auto fa un’ultima giravolta sparando pezzi in aria e cade pesantemente fermandosi in mezzo alla curva, tanto che Jochen Mass per evitarla si butta fuori dalla pista nell’erba.
Per qualche secondo la telecamera indugia sulla Ferrari deturpata e fumante, ma il pilota non c’è.
Non c’è, l’abitacolo è vuoto, di Gilles nessuna traccia. Il tempo sembra essersi fermato, guardo mio padre incredulo ma non trovo risposte. Spero di vedere Villeneuve accorrere sulla scena a piedi.
L’inquadratura si allarga, si sposta in un angolo dove alcuni marshall stano accorrendo e rivela l’orrore: poggiato su una rete metallica c’è un corpo sdraiato, ha una tuta bianca e non ha il casco, non si muove. “No, non può essere, non può essere Gilles”, penso. Gilles riesce sempre a farcela, l’ho visto uscire indenne da auto distrutte, tornare ai box su tre ruote, inanellare giri di pista su auto che perdevano pezzi, non può essere suo quel corpo inanimato.
Intanto il tempo passa, le altre auto si fermano tra i pezzi della 126 C2 sparsi sull’asfalto, arriva un’auto medica. In tv iniziano a susseguirsi i replay e a velocità rallentata si vede chiaramente il canadese volare via dall’auto insieme al suo sedile. Un volo interminabile forse a tre metri di altezza. Un’altra inquadratura si ferma sui medici che tentano di rianimare Gilles che purtroppo non risponde in alcun modo.

Davanti alla tv rimaniamo immobili, io non chiedo, mio padre non parla, guardiamo le immagini che scorrono sullo schermo in cui l’auto medica si allontana di corsa con dentro il corpo senza vita del canadese.

Finì così la storia di un uomo speciale. Un pilota capace di portare al limite qualsiasi mezzo abbia guidato. Pur gareggiando in Formula Uno per pochi anni e vincendo solo sei gare, Villeneuve con il suo modo di guidare, la sua tenacia, la sua spericolatezza e il suo coraggio, ha saputo infiammare i cuori di tutti i tifosi della Formula Uno che ancora oggi, dopo quarant’anni, lo adorano. Gilles incarna l’eroe senza paura, che non sa accontentarsi, che ha un bisogno estremo di velocità, che vive di emozioni adrenaliniche dentro e fuori i circuiti.

Enzo Ferrari di piloti se ne intendeva, per averne ingaggiati tanti e soprattutto per essere stato uno di loro. Nonostante ciò, era convinto che nelle corse l’auto fosse più determinante di chi la guidava e ha sempre sostenuto apertamente che non gli importava chi vincesse le gare, l’importante era che lo facesse guidando una Ferrari.
Non sopportava quei piloti che maltrattavano le auto, che non le rispettavano, lui stesso si era ritirato dalle corse perché per sua stessa ammissione aveva troppo rispetto per le auto e non riusciva a sfruttarle al limite. Eppure, Gilles riuscì a conquistare anche il grande Vecchio.
Nel capitolo dedicato a Villeneuve del suo libro, “Piloti che gente”, Enzo Ferrari spende parole di stima e di affetto per il pilota e termina con uno slancio tenero che poche volte aveva dedicato a qualcuno: “Io gli volevo bene”.